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MONDO: quanto, come e quando può diventare green l’e-commerce?

L'e-commerce non ha un'immagine molto green: scene di furgoni per le consegne che percorrono le nostre strade, a volte due corrieri dello stesso fornitore che si presentano contemporaneamente, un flusso infinito di pacchi restituiti gratuitamente. Tutti lottano con il problema, ma la soluzione non è ovvia. Il dibattito su come dovrebbe essere (ri)organizzato l'intero ecosistema dell'e-commerce è in pieno svolgimento. Giganti dell'e-commerce come Zalando, Amazon e bol.com si contendono quote di mercato, e quindi puntano tutto sulla facilità d'uso del consumatore finale, che desidera ricevere i prodotti ordinati online nel minor tempo possibile e preferibilmente senza eventuali costi aggiuntivi. Vogliono anche essere in grado di restituire articoli come i vestiti, gratuitamente. Questo modello mette sotto pressione l'intera catena logistica e la sostenibilità del modello è spesso in fondo alla lista delle priorità. Un ulteriore problema: i piccoli negozi online locali sono costretti a stare al gioco, anche se spesso non hanno gli strumenti per sostenere i costi associati. Ma non farlo potrebbe farli stare ancora più indietro rispetto ai grandi players. Inoltre, le iniziative ben intenzionate per organizzare le consegne di pacchi in modo più sostenibile a volte mancano completamente il bersaglio. L'esempio più eclatante è apparso su vari media di recente: un negozio di giocattoli locale in Belgio ha spiegato come appesantisse deliberatamente i suoi pacchi con pietre per evitare di ricevere un supplemento all'ufficio postale per pacchi di grandi dimensioni ma non molto pesanti. È evidente che si tratta di una responsabilità condivisa tra il consumatore finale e gli attori dell'e-commerce. Questi ultimi, però, esitano ad agire, il che significa che la palla è nel campo dei governi. Il ministro Petra De Sutter ha analizzato la questione sul quotidiano belga Het Laatste Nieuws: il problema risiede principalmente nel last mile, la distanza che deve essere colmata tra il centro di distribuzione e il cliente. L'unico modo per andare avanti è creare condizioni di parità: tutti i players dovrebbero avere le stesse possibilità. La grande domanda riguarda come livellare quel campo di gioco. Danny Van Assche, amministratore delegato dell'organizzazione di PMI Unizo, ha ragione sul fatto che il divieto di resi gratuiti ha senso solo su scala europea. Altrimenti, il Belgio si pone completamente fuori dai giochi in termini di e-commerce. Tuttavia, il passo di lumaca con cui il famigerato Digital Markets Act, che dovrebbe regolamentare le grandi piattaforme online, si sta muovendo attraverso le istituzioni europee rende sufficientemente chiaro che ciò non accadrà dall'oggi al domani. Né sembra che l'industria si regolerà rapidamente per rendere sostenibile il modello di e-commerce. Tuttavia, non è impossibile: Wouter Torfs ha già mostrato come la sua catena di scarpe sia riuscita a rendere il canale online redditizio quanto i negozi fisici, ottimizzando, ad esempio, l'esperienza di acquisto in modo tale che il numero di resi è ridotto al minimo. Tuttavia, sarà un processo lungo: il cliente si è abituato allo shopping online nella sua forma attuale. Cambiare quel modello di aspettativa sarà uno sforzo titanico. (tratto da Retail Detail)